Un nuovo episodio si aggiunge alla crisi di Stellantis. Il presidente John Elkann ha respinto l’invito della Commissione Attività Produttive della Camera, affermando che non sarebbe utile presentarsi in Parlamento. A suo dire, non ci sono aggiornamenti rispetto alla recente audizione del CEO, Carlo Tavares. Questa decisione ha scatenato la reazione del mondo politico, con una critica trasversale sia dalla maggioranza che dall’opposizione all’atteggiamento di Elkann. Pur con toni differenziati – il meno severo è stato Giuseppe Conte – i politici hanno sottolineato l’arroganza di tale gesto e hanno richiesto spiegazioni urgenti sul futuro del costruttore automobilistico, che sta riscontrando difficoltà su vari fronti di mercato.
La reazione politica contro Elkann
Il presidente della Commissione, il leghista Alberto Gusmeroli, ha rinnovato l’invito, ottenendo il sostegno della segretaria del Partito Democratico, Elly Schlein. Dopo una sconfitta inaspettata in Liguria, anche il centro-sinistra sembra essersi distaccato dall’atteggiamento di deferenza verso il proprietario di Repubblica e La Stampa. Non ha giovato il lungo periodo di conformità alle posizioni di una delle più note famiglie del capitalismo italiano, che sembra disinteressata al bene del Paese.
È sorprendente, tuttavia, che i politici si stupiscano ora. Non c’è nulla di nuovo nel comportamento di Elkann, che segue la linea storica della sua famiglia, sempre distaccata e elitaria. Non si considerano i sussidi ricevuti nel corso dei decenni dallo stato italiano per l’ex Fiat. Eppure, la politica nazionale – da destra a sinistra – ha sempre elogiato l’ex manager Sergio Marchionne, anche mentre ridimensionava l’azienda per trasferire operazioni fuori dall’Italia. Ancora oggi è ricordato come un genio, almeno in termini finanziari. Ma la situazione attuale è anche frutto delle sue scelte, che hanno privilegiato l’acquisizione di Chrysler a scapito dell’innovazione e della produzione in Italia.
Errori della Seconda Repubblica
È importante notare che questa deferenza politica non è stata riservata solo agli Elkann/Agnelli. Il fenomeno del “crony capitalism” in Italia ha assunto proporzioni problematiche, aggravate dalla Seconda Repubblica. Se durante la Prima Repubblica i rapporti di forza erano più bilanciati, negli ultimi trent’anni si è verificato un netto spostamento a favore delle grandi famiglie capitaliste, spesso protette da politiche di rendita.
Recentemente, persino figure insospettabili come Mario Draghi, nel suo ruolo di premier, hanno approvato nel 2021 l’integrazione con Peugeot, ignorando che non si trattava di una fusione tra pari, ma di una reale acquisizione di Fiat Chrysler da parte dei francesi. Nessun politico ha sollevato obiezioni riguardo alla partecipazione dello stato francese nel capitale di Stellantis, risultante dalla quota già posseduta in Peugeot.
Capitalismo predatorio, niente di nuovo
Elkann ha manifestato un’arroganza che è stata norma per decenni: la politica dovrebbe limitarsi a erogare generosi sussidi alle grandi aziende senza protestare. Questo spiega anche l’arroganza di Tavares, un manager portoghese che a Roma ha offeso l’intelligenza degli ascoltatori in Commissione, dichiarando che la produzione automobilistica in Italia non può crescere a causa della bassa produttività, imputabile agli alti costi energetici, nonostante avesse promesso di aumentare la produzione nazionale fino a 1 milione di veicoli all’anno solo pochi mesi prima.
L’utilità discutibile di Elkann in Commissione
In audizione, Elkann probabilmente non fornirà dettagli concreti, se non ribadire il suo attaccamento all’Italia e attribuire la crisi alla transizione verso le auto elettriche, richiedendo aiuti urgenti per promuoverne la vendita. Fortunatamente, gli italiani, a differenza dei loro politici, non sono ingenui. Stellantis è scivolata alla terza o quarta posizione nel mercato domestico delle vendite automobilistiche, dopo essere stata leader per più di un secolo. Ora è superata da giganti europei come Volkswagen. Ciò conferma che il problema non sono i sussidi, ma la mancanza di prodotti di qualità e accessibili per le famiglie. Perché lo stato dovrebbe finanziare la produzione di veicoli non richiesti dal mercato, che creerebbero posti di lavoro all’estero, mentre ai contribuenti italiani spetterebbe solo di pagare per la cassa integrazione disposta da Tavares?
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