Mentre il Parlamento sta per discutere la legge di Bilancio, il governo sta valutando di modificare il significativo aumento delle tasse che era stato pianificato per le attività legate alle criptovalute. A partire da quest’anno, Bitcoin e altri token digitali sono soggetti a una tassazione del 26% sulle plusvalenze che superano i 2.000 euro. Fino all’anno scorso, c’era molta incertezza su come gestire tali situazioni, e si faceva riferimento alle decisioni dell’Agenzia delle Entrate, con un sistema di calcolo delle plusvalenze piuttosto complesso.
Una possibile aliquota al 42%?
Il governo sta pensando di innalzare l’imposta sulle plusvalenze generate dalle criptovalute fino al 42%.
Questa mossa rappresenterebbe un duro colpo per un settore in rapida espansione, che la nuova amministrazione di Trump ha indicato di voler supportare. Se l’obiettivo è aumentare le entrate, questo non sembra essere il modo migliore. Secondo le stime del governo, le previsioni di guadagno sono molto basse, solo 16,7 milioni di euro. È probabile che l’effetto sia addirittura negativo, poiché potrebbe spingere gli investitori a liquidare le loro posizioni in favore di asset meno tassati e molti potrebbero nascondere al fisco le loro posizioni, orientandosi verso piattaforme di scambio straniere.
È importante notare che l’aumento delle tasse sulle criptovalute non influenzerebbe strumenti come gli ETF per Bitcoin. Di conseguenza, un investitore potrebbe semplicemente spostare i suoi capitali dai token, continuando a pagare il 26% sulle plusvalenze. In risposta alle numerose critiche, il Ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, sta considerando di rivedere questo aspetto della manovra. Si rumoreggia che l’aliquota potrebbe essere aumentata solo al 28%. In ogni caso, tale misura sarebbe priva di senso e creerebbe distorsioni ingiustificate tra le diverse categorie di asset.
Eliminare la soglia di esenzione sarebbe meglio
Attualmente, la legislazione fiscale è favorevole a Bitcoin e simili. Le tasse sulle criptovalute sono al 26%, come per la maggior parte dei redditi di natura finanziaria, ma solo se le plusvalenze superano i 2.000 euro.
Questa è una soglia arbitraria, considerando che i guadagni da azioni, obbligazioni, fondi d’investimento, ETF, polizze, ecc., sono tassati fin dal primo euro guadagnato.
Invece di creare ulteriori distorsioni, il governo dovrebbe semplicemente abolire la soglia dei 2.000 euro, che non rappresenta una franchigia. Per chiarire, se guadagno una plusvalenza di 1.999 euro su Bitcoin, non pago nulla allo stato. Ma se ne guadagno 2.001 euro, pago 520,26 euro, cioè il 26% sull’intero importo. Questa situazione non solo disincentiva gli investimenti in criptoattività oltre certi importi, ma priva anche lo stato di entrate. Se il governo eliminasse la soglia imponendo l’aliquota del 26% già dal primo euro di guadagno, aumenterebbe le entrate senza impattare negativamente sul settore.
Tasse elevate su cripto dannose per il mercato italiano
L’incremento delle tasse sulle criptovalute potrebbe far perdere all’Italia l’opportunità di essere un leader nell’innovazione tecnologica, un campo in cui gli Stati Uniti stanno già eccellendo a discapito di un’Europa conservatrice le cui autorità finanziarie sembrano più interessate a criticare il fenomeno piuttosto che a gestirlo e sfruttarne le opportunità. In questo contesto, l’Italia rischierebbe di diventare il mercato più ostile del continente, nonostante quest’anno avesse mostrato un atteggiamento opposto con il riconoscimento ufficiale dell’asset ai fini fiscali.
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Enzo Conti è profondamente radicato nella cultura italiana, grazie al suo lavoro di ristoratore e promotore del patrimonio locale. Il suo ristorante non è solo un luogo in cui gustare i sapori della Puglia, ma anche uno spazio dove cultura e storia si incontrano. Enzo organizza eventi per far conoscere le ricchezze della regione, affrontando anche questioni di società, politica locale e preservazione dell’ambiente attraverso il cibo.