Oggi si discuterà al Consiglio dei ministri la modifica di alcuni aspetti fondamentali del Testo Unico della Finanza (TUF), con l’intenzione di rendere più semplici le norme per le aziende quotate in borsa e di attrarre investimenti esteri e favorire l’utilizzo del risparmio nazionale. Una delle principali modifiche riguarderà l’Offerta Pubblica di Acquisto (OPA), originariamente regolata nel 1998 dalla cosiddetta “legge Draghi”, dal nome del direttore generale del Tesoro dell’epoca che ne seguì l’iter legislativo.
L’effetto della riforma OPA sul mercato
Abbiamo sentito molto parlare di OPA, OPS (Offerta Pubblica di Scambio) e OPAS (Offerta Pubblica di Acquisto e Scambio) negli ultimi mesi.
Un esempio recente è l’operazione effettuata da Monte Paschi di Siena su Mediobanca, che si è conclusa con successo. Inizialmente prevista come un’OPS, questa è stata trasformata in OPAS negli ultimi giorni prima della chiusura, includendo un’offerta in contanti agli investitori.
La riforma dell’OPA non è solo una questione tecnica. Quando un investitore desidera acquisire il controllo o una parte significativa di una società quotata, deve rispettare certi obblighi. Raggiunta una certa soglia di possesso, deve proporre un’offerta per tutte le azioni rimanenti. Perché? Per permettere agli azionisti che non desiderano aderire alla nuova governance di ritirarsi e per evitare che solo alcuni soci traggano vantaggio dagli acquisti.
Ripristino della soglia unica
L’OPA obbligatoria, tuttavia, implica un costo significativo per chi deve sostenerla. Questo investitore deve considerare che, potenzialmente, tutti gli azionisti potrebbero decidere di vendere le loro quote, rendendo così una “scalata” aziendale molto più costosa. Cosa stabilisce il TUF attualmente? L’obbligo di lanciare un’OPA scatta al raggiungimento del 30% del capitale.
Questo limite può tuttavia scattare già al 25%, se non ci fosse un altro socio con una quota superiore. Per le piccole e medie imprese, la soglia resta comunque fissata al 30%.
In passato, la legge Draghi stabiliva solamente il limite del 30% in ogni circostanza. Tale normativa fu modificata durante il governo Renzi. Ora, il governo Meloni intende ritornare alla formulazione originale. La riforma proposta prevede il ripristino della soglia unica al 30%, indipendentemente dalle dimensioni dell’azienda e dalla composizione del suo capitale. Questo garantirà più chiarezza e maggiore conformità con le normative del resto dell’Unione Europea.
Un’altra possibile modifica riguarderebbe il prezzo di riferimento per l’OPA obbligatoria, non più il prezzo medio ponderato degli ultimi sei mesi, ma di dodici. In questo modo, si ridurrebbero gli effetti sulle quotazioni in borsa degli acquisti effettuati dallo stesso soggetto “scalatore” per accumulare posizioni importanti fino a raggiungere il limite.
Impatto sulla governance
La riforma dell’OPA non riguarda solo gli addetti ai lavori. Esistono esigenze contrapposte quando si parla di scalate. Da un lato, i soci attuali, spesso fondatori, desiderano essere protetti da possibili offerte ostili. Dall’altro, c’è la necessità di rendere il mercato più dinamico.
Se il controllo di una società non è realmente conteso, la gestione può diventare inefficace col tempo, e le valutazioni di mercato ne risentiranno. La certezza che nessuno possa effettuare una scalata elimina l’incentivo a massimizzare l’efficienza.
Cosa serve al sistema Italia? Da un lato, aziende che si affidino al mercato dei capitali e possiedano una governance stabile, capace di pianificare sul medio-lungo termine. Dall’altro, una contesa degli assetti di proprietà per stimolare l’efficienza gestionale. In che modo la riforma dell’OPA può avere un impatto? Semplificando e facilitando le scalate, si accentua la contesa per il controllo, ovvero l’efficienza. E aumentando definitivamente la soglia al 30% per tutti, è ciò che farà oggi il Consiglio dei ministri.
Ritorno alla legge Draghi con la riforma OPA
L’Italia è caratterizzata da un capitalismo di tipo familiare. Le società quotate sono spesso controllate dai fondatori o dai loro discendenti. Questo ha garantito stabilità nella governance per decenni, ma spesso limita l’innovazione e la crescita. Non volendo perdere il controllo, le quotazioni riguardano spesso solo una parte minoritaria del capitale. Questo non attira investimenti esteri, poiché un azionista di minoranza non ha il potere di influenzare la gestione. La riforma dell’OPA aumenterà la possibilità di contendere il controllo laddove ci siano più soci influenti. Non si tratta di una rivoluzione, ma di un ritorno al passato, che tuttavia promuove una maggiore chiarezza normativa.
giuseppe.timpone@investireoggi.it
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