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Governo in Azione: Garanzie Pubbliche per Prestiti Bancari, Scopri i Dettagli!

Garanzie pubbliche sui prestiti delle banche, il governo ora batte cassa
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Pubblicato da Enzo Conti
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Il governo cerca di persuadere le banche a partecipare al bilancio statale a causa delle ampie garanzie statali fornite sui prestiti.

Alla vigilia della presentazione della legge di Bilancio per il 2026, si assiste a un tira e molla tra il governo e le banche. Recentemente, è stata rilanciata la proposta della Lega di introdurre una nuova tassa sugli “extraprofitti”. Questa tassazione è considerata “nuova” poiché le banche pensavano di aver già contribuito con il “congelamento” delle DTA per il biennio 2025-2026. In precedenza, inoltre, erano state obbligate a destinare alle riserve una somma pari ad almeno 2,5 volte l’importo che avrebbero dovuto versare al fisco. Nel frattempo, nel dibattito politico si fa strada anche la questione delle garanzie statali sui prestiti, un metodo per il governo di inclinare la bilancia a proprio favore.

Possibile blocco delle DTA o tassazione degli extraprofitti

L’idea principale è quella di rafforzare il blocco dei crediti fiscali derivanti dalle DTA. Il governo prevede di incassare 1,5 miliardi in più il prossimo anno. Nel frattempo, l’opposizione spinge per imporre una vera e propria tassa sugli extraprofitti, dopo che l’ultimo anno ha registrato utili per 46 miliardi nel settore bancario, cifra ritenuta eccessiva per una politica costantemente alla ricerca di fondi per coprire varie spese.

Aumento delle garanzie statali durante la pandemia

Il concetto di “extraprofitti” è discutibile dal punto di vista legale, se non addirittura illegittimo. Punire un singolo settore perché ha chiuso i bilanci in attivo è chiaramente discriminatorio. Il primo a esserne consapevole è il governo guidato da Giorgia Meloni. Per questo, nei giorni recenti, l’attenzione si è spostata sulle garanzie statali. Questa problematica ha preso piede con la pandemia, periodo in cui lo stato ha deciso di garantire i finanziamenti richiesti dalle aziende alle banche, per sostenere il credito e mitigare i danni gravi causati dalle politiche anti-Covid.

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Gli altri paesi dell’Unione Europea hanno agito similmente, alcuni più di altri, come Italia, Francia e Spagna, e alcuni meno, come la Germania. Durante il picco della pandemia, i prestiti con garanzie statali hanno raggiunto i 450 miliardi di euro, mentre nel 2019 non superavano gli 86 miliardi. Fortunatamente, la situazione sta migliorando, anche se lentamente. Il totale è sceso a 270 miliardi, meno della metà del picco, ma ancora più del triplo rispetto ai livelli pre-pandemia. E ora il governo, per quanto in ritardo, chiede conto di queste garanzie, non meno illegittimamente di quanto non faccia con la tassazione sugli extraprofitti.

Impatto sul debito pubblico

Il ragionamento in corso dietro le quinte con le banche è il seguente: le garanzie pubbliche hanno permesso a numerose aziende di ottenere finanziamenti che altrimenti non avrebbero potuto avere. Le banche, sapendo di poter contare sull’intervento dello stato in caso di difficoltà, hanno concesso questi prestiti. Tutti ne hanno tratto vantaggio, soprattutto le aziende, che hanno potuto accedere a liquidità essenziale per mantenere attivi gli impianti e fare investimenti. L’economia nel complesso ha evitato una recessione ancora più marcata. Le banche hanno ottenuto profitti da crediti garantiti, beneficiando anche della solidità del proprio patrimonio.

Nel 2024, i prestiti coperti da garanzie pubbliche in sofferenza hanno raggiunto i 2,5 miliardi. Quest’anno, al 30 giugno, sono stati 500 milioni. Questi fondi, provenienti dai contribuenti, contribuiscono ad alimentare il già imponente debito pubblico italiano. Tuttavia, in proporzione alle erogazioni, i numeri risultano contenuti. Le banche sostengono di aver concesso i crediti seguendo la normale diligenza, senza abusare delle garanzie statali.

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Garanzie pubbliche come strumento per reperire nuove risorse

Il governo chiarisce che chi ha beneficiato di questa legislazione eccezionale dovrebbe ora contribuire economicamente. In pratica, le banche potrebbero evitare il colpo di una tassa sugli utili, ma si troverebbero a pagare in base alle garanzie pubbliche ricevute. Tuttavia, fare ragionamenti del genere a posteriori rischia di rendere inefficaci future misure simili. L’obiettivo rimane quello di reperire fondi da destinare altrove, in particolare per il taglio dell’IRPEF. Le modalità restano dubbie. Alla fine, gli istituti si impegneranno a contribuire, consapevoli che l’ambiente politico è quasi unanimemente avverso nei loro confronti.

Il paradosso è che oggi a criticare le banche sono gli stessi partiti che nella legislatura precedente hanno tutelato i loro interessi con misure come lo sconto in fattura per i bonus edilizi. Centinaia di miliardi di euro anticipati dalle banche alle imprese, ovviamente applicando anche interessi significativi. Considerate che un credito trasferito con il Superbonus 110% è stato pagato dalle banche all’85% del suo valore o meno. A sottolinearlo è il deputato di Fratelli d’Italia, Francesco Filini, secondo il quale il governo avrebbe un approccio “non ideologico” sulla questione.

giuseppe.timpone@investireoggi.it 

 

 

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