Ogni anno si rinnova il dibattito sulla necessità di imporre nuove tasse alle banche per aiutare a coprire le spese pubbliche. Fu Giulio Tremonti, all’epoca Ministro dell’Economia, a iniziare a gravare pesantemente sul settore bancario. I bisogni finanziari dello Stato sono costanti, e si deve trovare il modo di soddisfare le innumerevoli richieste provenienti da varie categorie sociali. Un cambiamento significativo nella discussione si è verificato con la crisi energetica. L’inflazione ha raggiunto picchi elevati, così come i tassi di interesse, permettendo alle banche di ottenere profitti eccezionali, e molti politici hanno proposto che contribuissero di più alle casse statali.
Le banche nel mirino di Salvini
Nell’estate del 2023, in vista della prima vera legge di Bilancio formulata dal governo Meloni, il ministro Giorgetti propone una tassa sugli extraprofitti. Le quotazioni delle banche italiane subiscono un tracollo in borsa, causando un vero e proprio caos nei mercati, ma alla fine la proposta non viene realizzata. La coalizione di centro-destra opta per costringere le banche a mettere da parte una somma pari a 2,5 volte quella che altrimenti sarebbe dovuta al fisco. Nessuno paga di più, ma si rafforza la capitalizzazione di tutto il settore.
L’anno scorso, la Lega di Matteo Salvini ci riprova. Anche in questa occasione, non viene introdotta una vera e propria tassa, ma si giunge a un accordo con le banche: il posponimento delle detrazioni fiscali sulle cosiddette DTA. Questo accordo prevede un anticipo di liquidità per lo stato di 4 miliardi di euro in due anni. E arriviamo alla legge di Bilancio attuale: 11 miliardi in tre anni da banche e assicurazioni.
Come? Per liberare le riserve sopra citate, le banche dovranno pagare al fisco una aliquota del 27,5%, che aumenterà al 33% dal 2027, oltre a un’IRAP più elevata.
Entrate fiscali già elevate
Il vicepremier Salvini non è soddisfatto. Mentre il suo partito in Parlamento prepara una richiesta per aumentare di ulteriori miliardi il contributo delle banche, Salvini dichiara: “se si lamentano, aumenteremo il loro contributo”. Secondo lui, le banche non avrebbero ragioni per lamentarsi dopo aver realizzato “utili per 50 miliardi di euro” lo scorso anno. Queste parole sfoggiano una visione particolare delle relazioni con un settore critico dell’economia italiana.
Per Salvini, le banche dovrebbero contribuire maggiormente in questo periodo per supportare istruzione, sanità e pensioni. Sembra che l’Italia sia a corto di entrate. Tuttavia, scopriamo che esse hanno superato il 47% del PIL nel 2024. È piuttosto lo stato a non risparmiare nelle spese, che superano la metà del PIL. Questo fa emergere una questione di approccio. Le banche sono imprese come le altre, con il core business di prestare denaro a chi ne ha bisogno e di raccoglierlo da chi ne ha in eccesso.
Diminuzione dei prestiti al settore privato
Nel contesto di un’economia solida, le banche hanno un ruolo fondamentale, quello di facilitare gli investimenti e l’acquisto di beni durevoli.
In Europa, l’economia è orientata verso il sistema bancario, il che non è ideale. Negli Stati Uniti, le imprese si finanziano più spesso attraverso il mercato dei capitali. Tuttavia, non è imponendo tasse alle banche che possiamo aspirare a un sistema più equilibrato come quello americano. Nel nostro Paese, esiste un problema relativo al calo del credito al settore privato.
Prima della crisi del debito del 2011, le banche erano solite prestare fino al 120% della liquidità raccolta dai clienti. Prima della pandemia, questa percentuale era intorno al 100%. Ora è meno dell’80%. I prestiti ora rappresentano poco più dei due terzi del PIL rispetto all’85% durante l’anno della pandemia. Questi sono gli aspetti cruciali per comprendere come le banche possano contribuire di più allo sviluppo economico del nostro Paese.
Le banche come bancomat dello stato
Si preferisce continuare una polemica minore su un tema che potrebbe strappare applausi tra i cittadini-elettori, ma che non risolve nulla. Vedere le banche come bancomat dello stato non è affatto positivo. Questo dà l’impressione di una scarsa considerazione per un settore essenziale alla crescita. Gli utili non sono mai “eccessivi” – chiunque li realizzi – semplicemente perché non esiste un parametro oggettivo per determinare quanto dovrebbero essere. In realtà, questi utili testimoniano la solidità di un settore che ha messo in crisi l’intera Europa nel decennio scorso.
Il vicepremier Salvini afferma che richiedere un contributo straordinario alle banche non è “lesa maestà”. Siamo d’accordo, purché il discorso sia equo per tutti e rappresenti davvero un’eccezione. Invece, questo è il terzo anno consecutivo in cui si parla di “tasse sugli extraprofitti”. Quando mancano idee su come finanziare questa o quella misura, si ripropone il solito discorso estivo sulle banche. Non sono un bancomat di stato. Sarebbe molto più utile concentrarsi su come rilanciare il credito al settore privato, che potrebbe davvero essere un motore per l’economia e le entrate fiscali stesse.
giuseppe.timpone@investireoggi.it
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