Invece di beneficiare di tassi di mutuo più vantaggiosi, le famiglie hanno visto un incremento delle rate nei mesi recenti, sia per i mutui a tasso variabile che per quelli a tasso fisso appena erogati. A agosto, il tasso medio applicato alle nuove operazioni è stato del 3,31%, rispetto al 3,20% di luglio e al 3,11% di dicembre, che rappresentava il minimo. Qual è la causa di questo aumento? È forse responsabilità della Banca Centrale Europea (BCE), che ha interrotto (almeno temporaneamente) il taglio dei tassi d’interesse?
Dinamiche del mercato monetario e a lungo termine
È importante distinguere tra mutui a tasso fisso e a tasso variabile. I primi sono indicizzati all’Eurirs, un indice a medio-lungo termine, mentre i secondi sono legati all’Euribor, che può estendersi fino a 12 mesi.
I mutui a tasso variabile sono influenzati dalle fluttuazioni del mercato monetario, che a sua volta subisce l’impatto delle decisioni della banca centrale. I mutui a tasso fisso, invece, dipendono da dinamiche di medio-lungo termine che sfuggono al controllo diretto della banca centrale.
Perché i tassi dei mutui non sono più bassi rispetto a qualche mese fa, nonostante i tassi fossero in calo fino a giugno? Il mercato tende a prevedere l’andamento dei tassi attraverso l’Euribor, in particolare quello a 3 mesi. Nei primi mesi dell’anno, le rate erano ai minimi storici, con la plausibile aspettativa di un ulteriore calo dei tassi per volere della BCE, dato il rallentamento dell’inflazione verso il target del 2%. A un certo punto, nonostante fluttuazioni, le rate hanno iniziato a salire nuovamente. La spiegazione sembra semplice: il calo dei tassi si è interrotto, e c’è l’impressione che possano aumentare già dal prossimo anno.
Aumento dei rendimenti
I mutui a tasso fisso sono quelli che risentono di più di queste dinamiche. I rendimenti a lungo termine dei titoli di stato sono aumentati durante l’estate e all’inizio di settembre hanno raggiunto, in molti casi, i massimi degli ultimi anni. In Giappone si è registrato un nuovo record per il bond a 30 anni e nel Regno Unito questo termine ha raggiunto livelli mai visti dal 1998. Gli investitori hanno cominciato a considerare due fattori: l’aumento del debito pubblico a causa del riarmo europeo e della decrescita economica, e l’aumento dell’inflazione a causa di politiche fiscali espansive.
I mutui sono prestiti a lungo termine, e quindi strettamente legati ai rendimenti più duraturi (10, 20, 30 anni, ecc.). Questo spiega perché i mutui a tasso fisso non sono più bassi come fino a pochi mesi fa, e perché quelli a tasso variabile hanno smesso di diminuire. Per il futuro non è escluso che le rate possano diventare meno gravose. Il mercato potrebbe aver esagerato con il pessimismo e potrebbe dover rivedere le proprie aspettative al rialzo. Tuttavia, è altrettanto possibile che i rendimenti continuino a crescere.
Mutui più bassi solo con la riduzione del deficit
La BCE ha un ruolo limitato.
Anche se continuasse a ridurre i tassi, i rendimenti a lungo termine potrebbero aumentare in base alle aspettative su inflazione e debito. In questo scenario, i mutui non diventerebbero necessariamente più vantaggiosi. Al contrario, potremmo trovarli ancora più costosi a causa della possibile perdita di fiducia del mercato nella capacità di Francoforte di mantenere la stabilità dei prezzi. Solo i governi possono intervenire. Come? Mostrandosi credibili nel ridurre il deficit. L’unico modo per alleggerire il peso dei debiti è smettere di accumularli o ridurne la quantità. Ed è anche l’unico modo, allo stato attuale, per venire incontro ai bisogni dei mutuatari.
giuseppe.timpone@investireoggi.it
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