Non è possibile che una pensione sia inferiore ad un certo importo stabilito per legge. Per questo motivo, lo Stato interviene a favore dei pensionati che ricevono importi molto bassi, fornendo aiuti specifici per assicurare un tenore di vita economicamente accettabile.
Queste misure non sono recenti: sono strumenti consolidati nel tempo, spesso al centro di discussioni e possibili modifiche. In alcuni momenti, si è considerata l’ipotesi di una revisione radicale, ben oltre il semplice aggiustamento annuale secondo l’inflazione, che serve a ricalibrare gli importi.
Uno di questi strumenti, spesso trascurato e poco conosciuto, è l’integrazione al minimo garantito dall’INPS, introdotta con la legge n. 638 del 1983. Questa normativa permette a un pensionato, che sulla base dei contributi versati avrebbe diritto a un assegno inferiore alla soglia minima, di ricevere un’integrazione per aumentare la propria pensione.
Pensione integrata al minimo: se non supera i 603,40 euro mensili, è possibile richiedere un incremento
In passato, ci sono state proposte per elevare la pensione minima a 1.000 euro, come avvenuto durante il governo Berlusconi con l’integrazione nota come “al milione” (di lire). Tali proposte ricompaiono periodicamente nel dibattito politico, evidenziato dal fatto che Forza Italia ha da tempo espresso l’intenzione di aumentare le pensioni più basse.
Tuttavia, permane il sistema di integrazione stabilito dalla legge del 1983. Dopo l’adeguamento all’inflazione, nel 2025 la soglia minima è stata fissata a 603,40 euro al mese.
Teoricamente, un pensionato che riceve un importo inferiore dovrebbe ottenere un’integrazione per raggiungere questa cifra. Tuttavia, in pratica, questo è possibile solo se vengono rispettate determinate condizioni di reddito, che devono essere mantenute anche negli anni a venire.
Regole per l’integrazione al trattamento minimo INPS
L’obiettivo sociale dell’integrazione è chiaro: impedire che i pensionati vivano al di sotto della soglia di povertà, garantendo un reddito minimo per una vita dignitosa.
Nel 2025, l’importo minimo è di 603,40 euro al mese. Tuttavia, il governo Meloni ha approvato un’ulteriore incremento del 22% per sostenere i redditi più bassi, portando così il trattamento minimo a 616,67 euro mensili.
Nonostante ciò, non tutti i pensionati possono beneficiare di tale integrazione, anche se ricevono assegni molto bassi. Questo perché l’integrazione è strettamente legata ai limiti di reddito. In alcuni casi, l’assistenza è solo parziale, in altri non è prevista affatto.
È importante ricordare che i pensionati con assegni calcolati interamente secondo il sistema contributivo (dal 1996 in avanti) non hanno diritto all’integrazione: la legge Dini ha escluso questa categoria da integrazioni e maggiorazioni.
Limiti di reddito specifici per accedere alla pensione integrata al trattamento minimo
Per il 2025, i limiti di reddito necessari per accedere all’integrazione sono i seguenti:
- Pensionati singoli: fino a 7.844,20 euro annui.
- Coniugati: fino a 15.688,40 euro annui.
C’è un’eccezione per coloro che ricevono la pensione già prima di febbraio 1994: in questo caso, per il calcolo non si considera il reddito del coniuge, ma solo quello personale.
In caso di integrazione parziale, i limiti raddoppiano:
- 15.688,40 euro annui per il singolo,
- 31.376,80 euro annui per i coniugati.
Chi supera queste soglie non può beneficiare dell’integrazione.
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Enzo Conti è profondamente radicato nella cultura italiana, grazie al suo lavoro di ristoratore e promotore del patrimonio locale. Il suo ristorante non è solo un luogo in cui gustare i sapori della Puglia, ma anche uno spazio dove cultura e storia si incontrano. Enzo organizza eventi per far conoscere le ricchezze della regione, affrontando anche questioni di società, politica locale e preservazione dell’ambiente attraverso il cibo.



